di Vanni Sgaravatti
Spesso si è parlato dei processi di industrializzazione della bioplastica. Di come questa era una sfida tutta da vincere per rendere il modello di business appetibile, redditizio, cioè da poter vendere il PHA ad un prezzo competitivo sul mercato, nell’ipotesi che il consumatore non sarebbe stato disposto a pagare prezzi troppo alti per la transizione economica.
È sui tempi di questa sfida che è ruotato il dibattito tra chi sosteneva la proposition di Bio on come una rivoluzione mondiale e chi voleva sostenere che non fosse altro che un fuoco di paglia (tra questi sicuramente la concorrenza di nicchia, che probabilmente anticipava la dura guerra che avrebbero fatto i colossi della plastica e del petrolio, se fosse cresciuta). Hanno provato ad eliminarla fin da subito, quando dopo poco aveva mostrato anche la sua performance, con investitori e risparmiatori che avevano portato la start up bolognese ad un valore di capitalizzazione di borsa di 1,3 miliardi di euro.
Ma, al di là della sfida importante sulla industrializzazione, non occorre dimenticare i brevetti di base depositati per le diverse applicazioni del PHA da Bio on, rappresentati da ceppi batterici tenuti a -80 gradi nella cassaforte di Bio on.
Cito ed estraggo dal libro del giornalista Degli Esposti*, il seguente elenco ben commentato:
“Il 16 marzo 2020 l’amministratore giudiziario Dott. Luca Mandrioli nel documento numero 16 del tribunale di Bologna scriverà:
“Unitamente al know how sviluppato da Bio on e dai suoi ricercatori negli anni, il patrimonio brevettuale della società costituisce un asset strategico di straordinario valore, considerando che alcuni brevetti sono già stati concessi in licenza e potremmo potranno generare ricavi, oltre a quelli già incassati da bio on” (il valore degli asset aziendali, che costituì la base della prima asta nel processo di cessione di Bio on fu di oltre 95 milioni di essere).
Un filone sorprendente riguarda il settore biomedicale con il Minerv-Pha (patent bio -on/usa 714 1400 B2). La bioplastica PHA, infatti, è un polimero prodotto da batteri, ed è cibo per altri batteri.
Posizionato laddove i microorganismi causano danni, problemi o malattie diventa un’alternativa più appetibile delle cellule che non vengono più attaccate. Nelle cavità dell’ultimo tratto gastrointestinale, dove si annidano i batteri che sono all’origine del 95% di tutti i tumori del colon, pochi milligrammi di poliidrossialcanoato, assunti con regolarità possono contribuire all’evacuazione degli sgraditi ospiti, riducendone la concentrazione, quindi, il danno.
Lo dimostrano sperimentazioni validate, che, in un anno di test sulle cavie, hanno riscontrato una diminuzione del 75% dell’insorgenza del tumore.
Il brevetto risponde al numero WO2019 175 725A1. Per lo stesso motivo il pha, nel dentifricio, migliora di molto l’efficacia anticarie.
Nella cura dell’Alzheimer può ritardare il decorso della malattia. È noto, infatti, che la degenerazione cerebrale dovuta al morbo avviene quando non c’è più rigenerazione delle cellule. Le cellule del cervello non riescono più a riprodursi perché si rifiutano di utilizzare alcune sostanze zuccherine prodotte dal nostro corpo. Ma i poliidrossialcanoati le rimpiazzano, consentendo che il rinnovamento non si interrompa.
Le microcapsule biodegradabili di Minerv-Pha Biomedics (Patent esclusivo Bio-on/Usa 20210000863A1) sono anche in grado di recapitare i farmaci direttamente sugli organi malati, senza effetti collaterali. Insomma, diventano una sorta di navetta per la chemioterapia di precisione, che si dissolve appena portata a termine la sua missione.
Con lo stesso principio della navetta i ricercatori di Bio on hanno brevettato (EP 39 24098A1) un sistema di rilascio controllato nel terreno dei fertilizzanti basati su urea.
La messa a punto di questa tecnologia, che si chiama curiosamente U-coat ha richiesto due anni di sperimentazione nelle campagne dell’Alsazia, in appezzamenti di terreno appositamente affittati.
Tutti questi brevetti riconducono ad un altro che riguarda il processo di produzione del PHA. Precisamente, la possibilità di dosare ricette, tempi e temperature nel fermentatore per ottenere microgranuli di bioplastica cavi, capaci di dettare al loro interno qualsiasi principio attivo.
Con i microgranuli ha a che fare un’altra famiglia di applicazioni, Minerv-PHA Bio Cosmetics, dedicate alla cosmesi (Bio on/US 22019 005661A1-US 2019 0159997A1 -U>S 20210113450A1-W0202188439A1).
Pochi lo sanno, ma tutte le creme solari contengono massicce dosi di plastica che aumentano la crescita del fattore di protezione. Plastiche che nessuno riuscirà mai a recuperare perché sono come polvere, o sabbia e si disperdono nell’acqua quando ci si lava, o finiscono direttamente in mare ad ogni bagno.
Penetrano nell’organismo dei pesci, che le respirano e ci ritornano ogni volta che mettiamo in tavola un piatto di mare. Nel 2019 questi brevetti diventeranno la prima crema solare biodegradabile, commercializzata da Unilever con il marchio Maykay.
Ma non c’è limite: in collaborazione con il centro di ricerca dell’università di Messina, specializzato in biodiversità Marina e prevenzione all’inquinamento, è nato anche il brevetto del Minerv- PHA Recovery (BR11201905661A2), l’ammazza petrolio.
Si calcola che ogni anno vengono normalmente sversati in mare circa quattro milioni di tonnellate di petrolio, quasi 600.000 nel solo mare Mediterraneo. In più, sono stati registrati una trentina di disastri petroliferi dall’inizio del millennio.
La natura è in grado di metabolizzare il greggio ma le occorrono decenni. Nel frattempo, forma una pellicola in superficie che annienta gran parte della fauna marina e dei pesci
Lo potrebbero distruggere famiglie di batteri, che, però, sono dormienti e si attivano, per riprodursi, solo una volta ogni 10 anni. Ma il nostro onnipresente onnipotente PHA è in grado di svegliarli anticipatamente, mettendoli subito all’opera contro la marea nera oleosa che viene spazzata via in pochi giorni.
Altri due brevetti (BIO-ON/US20200375245A1 e W020210 24 57) riguardano i filtri per sigaretta che, se realizzati in Minerv-PHA sono biodegradabili al 100% ed in più capace di bloccare il 60% delle sostanze nocive.
Un brevetto sfrutta le proprietà piezoelettriche della bioplastica PHA per realizzare componenti elettronici e recuperare energia dalle sollecitazioni meccaniche.
Altri due, entrambi depositati nel 2018 descrivono nuove tecniche di produzione dei poliidrossialcanoati. Nel primo caso, ricavandoli dall’olio di frittura usato, nel secondo, direttamente dalla CO2. La CO2 o anidride carbonica è il gas prodotto dalla combustione degli idrocarburi ed è il principale responsabile dell’effetto serra, quindi dei cambiamenti climatici del pianeta.
L’anidride carbonica, il nemico numero 1 della comunità scientifica mondiale, tanto che nel 2016, a Parigi e 197 paesi aderenti all’ONU hanno firmato un accordo per azzerarne le emissioni in atmosfera entro il 2050.
Ma dal momento che l’umanità non è ancora in grado di rinunciare del tutto al petrolio, al gas al carbone quella anidride carbonica dovrà anche essere in qualche modo catturata e imprigionata prima che si disperda un’atmosfera. Trasformarla in bioplastica vorrebbe dire salvare la terra due volte: dalla plastica e dal riscaldamento globale.”
Ma Bio on è stata anche un esempio di potenziale organizzazione sostenibile, anche dal punto di vista sociale. La cura delle relazioni con tutti i lavoratori e i ricercatori, nella condivisione del progetto, degli obiettivi, del sogno, dell’impegno ha portato un processo di formazione ed apprendimento unico.
Sono state persone che sapevano di costruire il loro futuro, che hanno riqualificato il loro percorso professionale, qualcuno che aveva dimenticato la propria competenza per ragioni di sopravvivenza e aveva tirato fuori predisposizioni che neppure conosceva, diventando conduttore di impianti nel sistema Siemens di ultima generazione, partendo da situazioni in cui aveva lavorava come operaio in moderne catene di montaggio. Il giornalista Degli Esposti racconta molto bene come hanno tentato di sopprimere il sogno.
Per recuperare lo spirito che aveva resa magica ed unica quell’esperienza e che in fondo costituiva uno dei cuori pulsanti del progetto occorre ritrovare quella motivazione, occorre una visione che si può ritrovare solo in chi guarda lontano e ne ha fatto una missione e non credo lo si trovi in chi obbligato per propria volontà o per comprensibile necessità a minimizzare i costi a breve, scartando le persone che non servono. Con lo sguardo fisso alle esigenze dell’oggi, in una logica di contrapposizione tra il dipendente stipendiato, che deve fare il suo dovere senza troppi pensieri e grilli per la testa, rispondendo “sì chef” nelle beute e pentoloni della cucina, mentre le torri, i grandi fermentatori, da lassù, come giganti solitari ricordano tempi gloriosi, guardando con sommessa malinconia, le chiacchiere di chi si arrabatta tra regole e impossibilità di cambiare le cose del mondo.
*citazioni e commenti ai brevetti sono tratti dal libro del giornalista Massimo Degli Esposti: “l’Unicorno avvelenato. Così la finanza tossica ha ucciso il sogno della plastica pulita” (Edizioni ArteStampa)
(26 gennaio 2024)
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