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“Giustappunto!” di Vittorio Lussana: “La censura della morte”

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di Vittorio Lussana, twitter@vittoriolussana

 

 

Dopo il grave assassinio della giornalista Daphne Caruana Galizia, avvenuto in questi giorni a Malta, sta finalmente cominciando a emergere il vero sfondo della bella ‘isola-stato’ del Mediterraneo, considerata a lungo un piccolo ‘gioiello’ turistico in cui non accade mai nulla. I contorni che la morte della brava blogger stanno, invece, delineando sono quelli di un’isola letteralmente in mano alla criminalità organizzata, la quale è riuscita, in qualche modo, a ‘inquinare’ e a condizionare, con i suoi loschi traffici, anche le istituzioni pubbliche e politiche maltesi. In situazioni e contesti di questo tipo, il giornalista finisce col ritrovarsi pericolosamente isolato. Ed è, pertanto, il primo a morire, come descritto con cruda verità nel capolavoro di Oliver Stone, ‘Salvador’, del 1986, in cui l’ottimo John Savage, nei panni di un noto fotoreporter americano, avverte il collega Richard Boyle, interpretato da James Woods, con le seguenti parole: “Stai attento, Richard: qui in Salvador sparano a noi…”. Persino un uomo potentissimo come Napoleone Bonaparte era solito affermare che “quattro giornali ostili sono da temere più di mille baionette”. Ed è per questo motivo che il mestiere del giornalista risulta così temuto e disprezzato: temuto, perché un vero giornalista non può accontentarsi mai delle verità ‘ufficiali’; disprezzato, poiché nel perseguire la verità, egli scopre fatti o aspetti tali da poter danneggiare seriamente la reputazione di un ente, di un esponente politico, di intere istituzioni. Tuttavia, è anche opportuno non alimentare una visione ‘apologetica’ di questa professione, poiché in essa è comunque necessario operare una sacrosanta distinzione tra un giornalismo ‘buono’ e uno ‘cattivo’. Ambedue questi generi non si pongono limiti. Ed entrambi possono parlare qualsiasi linguaggio: per ogni giornalista che indaga onestamente, ne esiste un altro che non contesta l’ipocrisia delle notizie messe in circolazione; per ogni redattore che riporta fedelmente le menzogne di un governo, ne esiste un altro che rischia la morte per raccontare la verità; per ogni giornale che tende a deformare la realtà dei fatti, ve n’è sempre un altro che cerca di penetrare tra le ‘maglie’ delle fonti ufficiali. Dunque, è sbagliato distinguere tra un giornalismo di ‘destra’ e uno di ‘sinistra’, uno progressista e uno reazionario, uno governativo e uno antisistema: esistono soltanto un giornalismo ‘buono’ e uno ‘cattivo’. E tutti e due, oggi, sono ‘globalizzati’: alcuni lavorano in posti in cui il controllo della stampa da parte dello Stato è una dura realtà quotidiana, mentre altri esercitano la propria professione in luoghi dove le informazioni affluiscono liberamente e direttamente da organizzazioni e autorità. Ma come si caratterizza, deontologicamente, il buon giornalismo? In linea di principio, esso è quello intelligente, basato sui fatti, onesto nelle sue intenzioni e nei suoi effetti, che non serve altra causa se non quella della verità accertabile, esposta in maniera comprensibile per tutti i lettori. E da cosa si riconosce, invece, il giornalismo ‘cattivo’? Quest’ultimo, in genere è quello che si affanna in una continua espressione di giudizi; che si preoccupa maggiormente di delineare il narcisismo di chi redige un articolo, anziché rispettare il reale interesse e la curiosità più autentica dei lettori; che considera l’accuratezza solamente un ‘di più’ e l’esagerazione o la ‘spettacolarizzazione’ uno strumento. In pratica, il giornalismo ‘cattivo’ è quello che lancia accuse vaghe, riempiendo le pagine dei giornali di commenti senza fornire notizie effettive; quello di chi preferisce la ‘pappa pronta’ e la superficialità rispetto al duro e misconosciuto sforzo di avvicinarsi il più possibile alla verità. In ogni caso, tornando al giornalismo ‘buono’, esso possiede dei compiti precisi, che in questi ultimi 22 anni di esperienza ho voluto riassumere nel seguente decalogo. Il buon giornalista deve:

 

1) scoprire e pubblicare informazioni che vadano a sostituire o a chiarire voci e illazioni;

2) resistere ai controlli governativi o, addirittura, eluderli;

3) informare tutti i lettori e non solamente ambienti circoscritti o gruppi di potere;

4) analizzare ciò che tutti i governi, i rappresentanti eletti e, più in generale, i servizi pubblici fanno o non fanno;

5) studiare le attività imprenditoriali e il trattamento da queste riservato a lavoratori e consumatori, insieme alla qualità dei loro prodotti;

6) rassicurare chi soffre e infastidire chi fa la ‘bella vita’, dando voce a chi, di solito, non riesce a far sentire la propria;

7) porre la società di fronte a uno ‘specchio’, che ne rifletta vizi e virtù;

8) sfatare falsi miti o rielaborare verità controverse;

9) assicurarsi che, in determinati casi di cronaca, giustizia sia fatta, che lo si sappia ‘in giro’ o che, in caso contrario, si indaghi;

10) promuovere il libero scambio delle idee, dando soprattutto spazio a coloro la cui filosofia è diversa rispetto a quelle dominanti.

 

Se un giornalista s’impegna a raggiungere gli obiettivi che ho appena elencato, egli avrà servito la società assai meglio di un qualsiasi funzionario pubblico, anche quello più zelante, poiché così facendo non avrà fatto gli interessi dello Stato, bensì del cittadino. Informando, il giornalista conferisce potere. Ed è per questo motivo che interi governi e numerosi uomini ricchi e potenti cercano sempre di metter loro i ‘bastoni tra le ruote’ o, addirittura, di tacitarlo, tacciandolo come sovversivo. Ma il bravo giornalista è veramente un ‘sovversivo’, poiché il suo lavoro è appunto quello di ‘sovvertire’ coloro la cui autorità poggia, il più delle volte, sulla scarsità delle informazioni. E’ a causa di ciò che, ogni anno, migliaia di giornalisti vengono arrestati, imprigionati o uccisi: si chiama ‘censura della morte’ ed è in continuo aumento, anno dopo anno. Nel corso del 1982 furono assassinati, nel mondo, 9 giornalisti. L’anno successivo, i morti erano già saliti a 14. Nel 1990, i giornalisti assassinati furono 32. E nel 1991, addirittura 65: più del doppio rispetto all’anno precedente. I veri giornalisti sono quelli che sfidano le convenzioni, che hanno idee proprie, che mettono in discussione i metodi tradizionali per trovarne sempre dei nuovi. Essi sono coloro i quali cercano argomenti che, di solito, i giornali non desiderano trattare, o che mostrano inquietudine allorquando si sentono dire frasi del tipo: “Di solito, si fa così”. Oppure: “La prassi è questa”. Essi non accettano la distinzione tra notizie e servizi, consacrata soprattutto dagli editori; odiano gli articoli imperniati attorno a schemi di narrazione ‘fissa’; rifiutano di netto il presupposto che i lettori possano “non capire una notizia”. Per un vero giornalista, il proprio mestiere rappresenta un qualcosa di universale, in ogni senso. E ciò riguarda anche le distinte competenze del proprio mestiere: il giornalista, infatti, dev’essere versatile. Deve, cioè, essere in grado di scrivere ogni tipo di ‘pezzo’; saper divertire oltreché informare; apprendere come s’impagina e anche come si stampa un quotidiano. Infine, un giornalista deve imparare a scegliere le immagini più efficaci; comprendere come usare le innovazioni tecnologiche; creare e vendere sempre nuovi giornali, poiché anche la miglior storia da raccontare è solamente materia ‘grezza’ se essa non viene combinata con titoli, sommari, immagini e altro materiale. I veri giornalisti debbono avere una gamma di competenze che permettano loro di operare in un ogni settore del proprio giornale, poiché l’informazione è un’industria divenuta sempre più globale, sia dal punto di vista della proprietà, sia da quello delle nuove tecnologie e delle nuove fonti di informazione. Tutto questo potrà apparire a qualcuno come una forma di idealismo romantico: un vero e proprio innamoramento nei riguardi di questa professione. Ma ciò non dipende affatto dalla vivace passionalità caratteriale del sottoscritto, quanto dal fatto che non esiste nessun vero giornalista che non sia un romantico e un idealista perdutamente innamorato della propria professione. Soprattutto, se si ritrova assediato dai nemici della libertà di espressione, o da chi ne tradisce i suoi princìpi basilari.

 





(18 ottobre 2017)

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