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74ª Mostra Internazionale di Arte Cinematografica, il bel film di Guillermo Del Toro

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di Emilio Campanella, #Venezia74

 

Prima di parlare del bel film di Guillermo del Toro passato in concorso in mattinata (31 agosto, ndr) torno indietro a ieri, giorno d’inaugurazione della kermesse veneziana, con una notazione curiosa che riguarda tre fanciullone, una elegante, le altre due meno, ma tutte su tacchi altissimi, salite sull’autobus proveniente dalla spiaggia a sud dell’isola, e scese, ovviamente, in zona cinema, per partecipare alla serata di gala. Era molto interessante notare le occhiate in tralice delle signore più mature, in elegante stile moda/mare, occhiate gravide di valutazioni di chi ingioiellata di pietre vere, giudicava la bigiotteria delle ragazze.

Con la consueta, coltissima, cinefila abilità, Guillermo del Toro ha rivisitato il mito del Mostro della Laguna Nera ed ha ambientato la sua storia (anche molto romantica), negli Stati Uniti del 1962, in piena guerra fredda, ad un anno dall’attentato di Dallas, in un cupo centro di ricerca scientifico-militare dove è detenuta una creatura rapita al suo ambiente naturale sudamericano. Vediamo arrivare il cassone con oblò che contiene l’animale umano-anfibio, considerato una divinità nei suoi luoghi, e qui incatenato, picchiato, torturato, con pretesti scientifici di dressage, con un manganello elettrificato. La metafora è trasparente. A questo arrivo assiste Elisa (Sally Hawkins, molto brava, come tutti gli attori) ragazza muta per un trauma subito, del quale nulla sapremo mai, ma che sente benissimo. Successivamente lei e la collega ed amica (Octavia Spencer), più di una volta dovranno ripulire il sangue della creatura torturata.

Elisa all’inizio è curiosa, poi è mossa da compassione e riesce ad instaurare un dialogo con l’uomo pesce. Siccome oltre cortina le spie lavorano alacremente, un infiltrato è presente nel laboratorio, e lavora facendo il doppio gioco, ma soprattutto è umano ed è uno scienziato coscienzioso, per cui tenta l’impossibile per salvare l’uomo-animale dalla vivisezione cui lo hanno condannato gli americani, o dall’iniezione letale caldeggiata dai russi per non permettere le ricerche del nemico. Il tempo stringe ed i buoni si uniscono per salvare la creatura amata ormai e difesa da tutti. Una fuga viene organizzata nei minimi particolari, con episodi decisamente divertenti e sempre molto intelligenti. Chi nasconderà la creatura? Elisa, naturalmente, con l’aiuto del simpatico vicino (Richard Jenkins), un cripto-omosessuale di mezza età, decisamente simpatico, un altro diverso, dunque, come la collega di Elisa che è nera. La vita in appartamento non è facile, una vasca da bagno è appena sufficiente a sopravvivere, la soluzione salina è difficile da equilibrare, i giorni passano in attesa di grandi piogge previste per poter liberare la creatura nel suo elemento, quando il livello dei canali sarà sufficientemente alto. Ovviamente la bella, non bellissima, ma credibile, ed il mostro, non mostruosissimo, si innamorano, e se la prima volta fanno l’amore nella vasca di casa, la seconda volta Elisa riesce a riempire la stanza da bagno come un acquario, ma l’acqua filtra di sotto, nel bellissimo cinema, e la situazione precipita.

Il cattivo cattivissimo (Michael Shannon) è sulle loro tracce e ci saranno due rese dei conti. La seconda sotto una pioggia battente, con molte vittime, ma non bisogna dimenticare che la creatura ha dei poteri speciali e che è quello che in occidente consideriamo un semidio (ne abbiamo avuto le prove in momenti differenti).

Una vicenda molto romantica, condotta con grande intelligenza ed attenzione. Con notazioni puntuali e precise a connotare i caratteri dei personaggi e le situazioni: dall’ambientazione accuratissima alla notevolissima fotografia. The Shape of Water è film di un regista cinefilo che inanella eleganti citazioni discrete e puntuali in una vicenda che ha un sapore anche un po’ espressionista. Ci sono alcuni momenti memorabili: quando la creatura entrata nel cinema rimane affascinata da un peplum; la canzone di Elisa che ritrova la parola (solo in quel momento) e la magnifica danza con il mostro, in un momento di godibilissimo musical o, ancora, lei che con il suo amico guardano i divi della celluloide in televisione e fanno un delizioso tip tap seduti sul divano. Va da sé che Sally Hawkins danza molto bene. Nel finale che non rivelo, un omaggio a L’Atalante.

Un convinto applauso alla fine della proiezione di questo film apparentemente ludico, ma quanto profondo!, nelle sue notazioni sulla diversità, il razzismo, il maschilismo. Problemi ancora irrisolti.

 




 

(1 settembre 2017)

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