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Burocrazia: una questione politica

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di Vanni Sgaravatti

Verso il 1870, un arguto socialdemocratico tedesco considerava le Poste come un modello di impresa socialista.

La Posta è attualmente un’azienda organizzata sul modello del monopolio capitalistico di Stato, a testimonianza che, a poco a poco, l’imperialismo trasforma tutti i trust in organizzazioni di questo tipo. Organizzazioni trasformate da scelte politiche, a favore della privatizzazione liberista in luoghi di degrado esistenziale, popolati, nella percezione di molti, da fannulloni.

E, in questo contesto, il capo dell’eroe ribelle, ligio alle regole, è quasi sempre stato un nero nell’immaginario collettivo, in particolare americano; quando, solitamente, la violenza dei ribelli neri, come quella degli impiegati postali, raccontata in alcuni film, non è giustificata da cause strutturali e sociali.

D’altra parte, a testimonianza che il potere della burocrazia è indipendente dalla specifica visione politica, occorre ricordare che Lenin disse: “Tutte le economie nazionali devono essere organizzate come le poste tedesche: i tecnici, i sorveglianti contabili, come tutti i funzionari dello Stato devono essere retribuiti con uno stipendio non superiore al salario di operaio, sotto il controllo e la direzione del proletariato armato ecco il nostro fine immediato” (ripreso dal libro di David Graeber; “Burocrazia”; editore: Il Saggiatore). L’organizzazione dell’Unione Sovietica fu modellata direttamente sul servizio postale tedesco, acquisito dal monopolio del Barone “Turn und Taxis” che aveva costituito quell’impresa per la propria regione tedesca.

Questo, in contemporanea con le iniziative politiche di Bismark, per prevenire la rivoluzione socialista e che, dopo i successi elettorali della sinistra, adottò un sistema burocratico per la copertura dei bisogni di welfare state.

Forse è proprio dalle derive della matrice culturale marxista e non solo per il fascino del potere impersonale che rende tutti uguali e ci risparmi dalla fatica di mettere l’anima nelle relazioni, che della burocrazia, come questione politica, la sinistra progressista non ne parla oppure non mette il tema come prioritario nell’ordine del giorno di pubblici dibattiti.

Ma quando il modello socioeconomico, capitalista, democratico o statale che sia, si espande e si globalizza, allora la burocrazia mostra sempre più il suo lato disumano, senza che le regole di cui è costituita servono a contenere l’aumento di una disuguaglianza percepita (pari solo alla prima era industriale). L’inevitabile smarrimento e poi rabbia delle persone, hanno dato ai rappresentanti del pensiero di destra-conservatore l’opportunità di presentarsi come rivoluzionari e paladini delle ingiustizie burocratiche, lasciando il cerino in mano ai progressisti, front-men della gente (altrimenti chiamata popolo), disillusa e arrabbiata. Inevitabilmente e più spesso inconsapevolmente, ci si ritrova a difendere quel sistema impersonale, con l’illusione di poter eliminare tutti i privilegi, ma rimanendo imprigionati all’interno di un sistema che promuove l’efficienza e la crescita fine a sé stessa e, per questo, mette al centro l’artificiale: la burocrazia dell’agente artificiale, l’algoritmo dell’intelligenza artificiale.

È emblematico il caso dei corsi sulla “Etica non valoriale”. Sembra un paradosso. Che cosa sono? Sono corsi che riguardano, ad esempio, come calcolare il beneficio socio ambientale di un ponte autostradale, con tanto di preferenze sociali rilevate; come trasformare l’etica in un codice etico, cioè trasformando un obiettivo intrinseco (interno all’umano), in un obiettivo estrinseco: conforme a requisiti stabiliti (dall’agente artificiale: stato, gruppo umano, ecc.).

Qualsiasi documento prescrittivo sulla moralità e eticità dei comportamenti, con conseguente richiesta implicita di una conformità a tali prescrizioni, possono essere ricondotti o paragonati all’assunzione di responsabilità di obbedire ai desideri dei “padroni” da parte dei “servitori”, quando il padrone è il “pubblico”. Ma se il “pubblico” è il padrone, come si fa a determinare i suoi desideri?

Li si determina attraverso il volere del dittatore, che identifica il suo desiderio in quello del pubblico (Hitler, Putin) o che si considera rappresentante di un gruppo simbolico (dittatura del proletariato); oppure attraverso la burocrazia, che realizza le decisioni politiche nel sistema democratico, rendendoci (compreso gli stessi politici) dipendenti da un potere tecnico-amministrativo, ontologicamente, oscuro (si pensi alla classe dei mandarini e delle scuole cinesi dei burocrati statali e non solo dei dirigenti amministrativi di casa nostra). Qualsiasi visione: socialista, liberista, fondamentalista sogna di creare un ordine sociale che, a differenza degli ordini esistenti, abbia una coerenza logica e che dunque rappresenti il trionfo della ragione, di quella determinata ragione, sul caos.

La pietra angolare è la burocrazia efficiente che concretizza la visione, con l’assunto, inconsapevole e di base, che la razionalità è morale. In linea con il pensiero sul contenimento degli istinti di Platone e Aristotele e del Leviatano di Hobbes. Al contrario del pensiero di Hume: la ragione è (e deve essere) schiava delle passioni.

Si capisce, allora, da questi ragionamenti, come la burocrazia sia anche una materia politica e sia sempre più importante nell’era della chiusura del cerchio, determinata, cioè, dall’alleanza, di fatto, tra agenti artificiali e intelligenze artificiali. Occorre, quindi, parlare e ragionare di burocrazia, guardandola in profondità, senza fermarsi al significato superficiale e corrente. Come abbiamo detto moltissime volte – forse fin troppe – la burocrazia fondata sulla classificazione del reale e la condivisione dei criteri di classificazione, non può essere eliminata, dal momento che costituisce il risultato del nostro pensiero simbolico, fondamento ed essenza dell’homo sapiens.

Si tratta, però di rendersi conto che l’accelerazione della tecnologia incorporata nel fisico e nella mente umana, in particolare quella delle comunicazioni e l’aumento della dimensione dei collettivi umani, danno alla burocrazia una caratteristica emergente, che tende a cambiare la stessa natura dell’uomo. Un uomo che può tentare di non essere emarginato, solo ripensando sé stesso in un processo di riflessione continua sui significati del suo agire.

Si tratta, perciò, di vivere e trasformare la burocrazia, in un processo continuo di cambiamento, attraverso lo sviluppo di tre fattori: l’autonomia (relazioni umane con l’altro come fine e non come strumento); la padronanza (approfondimento critico e competenza), il perseguimento di uno scopo più grande di noi.

E si tratta di utilizzare queste componenti, costitutive di uomini ancora protagonisti delle scelte burocratiche e non solo passivi utilizzatori, ripescando il famoso detto dell’ultimo tentativo rivoluzionario conosciuto da queste parti del pianeta: “l’immaginazione al potere”, magari con una diversa consapevolezza ed esperienza rispetto a quei tempi.

Si capisce, allora, l’importanza della riflessione filosofica, unita alla prassi concreta dell’agire condiviso, orientato alla cura delle relazioni e del dolore burocratico, che, a mio avviso, costituiscono il significato profondo da cui prende le mosse e dovrebbe svilupparsi la nostra associazione: “Gli incontri di S. Antonino” (curadellerelazioni.org) e del nostro progetto: “Cura delle relazioni per la prevenzione del disagio”.

 

 

(17 agosto 2025)

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