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Brothers in arms

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di Vanni Sgaravatti

Si sente continuamente alla televisione e talmente tanto spesso, parole come pace, unita a “pragmatismo e real politik”, oltre a: “bisogna sedersi a parlare e negoziare”, che, alla fine, si rischia di perderne il senso. Parole come semi gettati al vento di retoriche che al massimo sono logicamente plausibili.

Contemporaneamente stavo leggendo di demografia, della decrescita delle popolazioni, di Stati africani ancora preda della famosa trappola Malthusiana. Leggevo di come l’autoregolazione alla procreazione nei paesi molto poveri, invece di aspettare che lo facciano carestie e guerre, è praticamente impossibile. L’uomo è capace di sacrificare la propria vita per un ideale astratto o per una bandiera, ma non di agire sulla base di un calcolo razionale di economia politica o domestica.

E allora se le persone si sacrificano per ideali, sulla base di cosa un italiano sostiene la giustezza della pace in un paese, apparentemente lontano, come l’Ucraina?

Per smettere di vedere morire i propri figli? No, non è questo il caso. Perché non vuole vedere morire i figli degli altri? Ucraini, Palestinesi. E anche Russi e Israeliani.

Vediamo le bombe alla televisione, ci raccontano di morti. Allora siamo empatici, siamo sensibili? Non vogliamo che gli altri soffrano? Gli altri, quelli che vediamo. Quelli di cui veniamo a conoscenza. Non possiamo certo commuoverci per quelli di cui non sappiamo nulla.

Poi, ancora, sento frasi come: “Gli Ucraini devono arrendersi, per la pace”; “Devono accettare questo e quello …”. Oppure: “E’ un boccone amaro da digerire, ma questo è, se ne rendano conto”.


Qual è il senso di questi imperiosi consigli?

Loro hanno combattuto, sono morti per difendere la propria libertà (adesso si sente meno parlare di motivazioni indotte e condizionanti e, quindi, si dà per scontato che non siano stati convinti di immolarsi da oscure forze), e ora devono accettare di essersi sacrificati inutilmente.

E, quindi, in sintesi, noi che non rischiamo la vita, diciamo a loro di smettere di rischiare la loro vita? Ma noi lo diciamo per loro, per il loro bene? Noi che abbiamo visto alla televisione che muoiono. Loro.

Ma forse non sarà che lo devono fare per non mettere altri, ad esempio noi, a rischio di tragedie? Ma quali? Quelli prodotti da una guerra guerreggiata?

Ma se è questo che temiamo, allora ha ragione chi dice che se non avessero combattuto gli Ucraini, Putin avrebbe invaso l’Europa?

Perciò, si pensa che se smettono di combattere adesso, Putin non penserà più ad invadere l’Europa?

Quindi vorrei capire: Putin si ferma se l’Ucraina, senza più armi, cede metà Ucraina, altrimenti Putin si arrabbia e visto che c’è e che l’abbiamo provocato un’altra volta, a quel punto si prende un po’ di Europa? No, non capisco proprio. Forse sono stupido.

Ma non avevano detto, magari sempre gli stessi, che era una propaganda quella della minaccia dell’invasione russa che non avrebbero mai invaso proprio l’Europa con bombe su Roma e Bologna”?

Ma allora, forse, sosteniamo che devono smettere di combattere per non rischiare che, per colpa di quella guerra, noi diventiamo più poveri? E poi comunque, lo diciamo anche per loro, così se ne stanno in pace? Piangeranno i loro morti, ma staranno in pace.

Mangeranno, dormiranno, non moriranno più, faranno figli, impareranno mestieri, progrediranno economicamente, con maggiore giustizia, perché avranno una Ucraina, almeno quella rimasta dalla parte dell’U.E, una democrazia, magari con una magistratura indipendente, un parlamento indipendente, in uno Stato autonomo. Oddio uno Stato a mezzo.

Ma altre cose non si capiscono. Ci siamo sentiti in colpa per il colonialismo e il neocolonialismo per decenni delle nostre vita. Ma ora Trump propone un patto per lo sfruttamento delle risorse ucraine, senza contraccambi credibili in termini di sicurezza, sostenendo che tanto gli Ucraini non hanno alternativa.

Il colonizzato dice, no, si, forse, ma … Eh no, non va bene, razza di guerrafondaio, o di illuso, che gioca con la vita dei suoi uomini, come ti permetti di dire di no.

Ho sentito di ucraini che hanno visto morire i loro compagni e non potrebbero più tornare a vivere e vogliono resistere fino all’ultimo sangue. Certo ormai sono vite perdute, con traumi incancellabili che forse qualcuno pensa potremmo ricostruire con degli psichiatri-muratori.

Però, possiamo immaginare che le loro famiglie, vogliano radunarsi nella parte di Ucraina che lasciano autonoma. Accettino di avere un’altra generazione di combattenti perduti, traumatizzati, in cambio di un futuro sicuro per altri loro figli.

Tanto sono passati da una delle più immani tragedie della storia, il genocidio per fame imposto dai Russi, l’Holodomor e sono ancora vivi, potranno fare lo stesso, un’altra volta.

Ma, quindi, questo enorme dolore sarebbe quel famoso boccone amaro da ingoiare.

Che loro dovrebbero ingoiare per loro e per noi, per vivere quel futuro immaginario.

Se ci sono garanzie di sicurezza, naturalmente, se ci sono concrete speranze che la vita sarà quella che avrebbero voluto, entrando in unione europea, uscendo dalle paludi della corruzione endemica, nel 2013, quando tutto cominciò, quando sembrava che potessero riemergere davvero dalla storia.

Ma chi garantisce per loro, per gli Ucraini? Perché potrebbero chiedersi: “ma scusate: ci state dicendo che dobbiamo accettare la sconfitta, che abbiamo evitato per tre anni (quando i Russi avrebbero dovuto conquistarci in tre giorni), altrimenti ci fanno a pezzetti? Ma se sono così schiaccianti, perché non dobbiamo pensare che appellandosi un’altra volta alla forza, potrebbero tranquillamente non rispettare qualsiasi trattato di pace?”

Forse, in futuro, a guerra finita ci saranno altri che aiuteranno gli Ucraini a proteggere i loro confini, la loro terra, e non per beneficienza, ma perché loro sono parte dell’Europa, di quell’Europa per cui anche noi italiani potremmo sacrificare la nostra vita? Davvero?

Ma sempre gli Ucraini potrebbero pensare: “Perché gli europei, che non potevano rischiare le vostre vite per noi, da adesso in poi lo faranno?”

E ancora, un’altra cosa difficile da capire: si dice che senza l’America non c’è questa capacità di resistere all’invasione russa (si può ancora dire invasione?), e, quindi, si presume che senza l’America non ci sarà neppure forza sufficiente per far rispettare i trattati di pace.

Ma, se Trump propone (e non sa più come farcelo capire) che, il suo partner sarà la Russia, che i trattati si rispettano, se si ha la forza militare ed economica nel farli rispettare, utilizzando la stessa frase del suo padrone, pardon, partner; quello là, il signore del Cremlino. Come si può allora ragionevolmente pensare che l’America sia il soggetto affidabile per far rispettare i patti a Putin?

E perché gli italiani, preoccupati per l’effetto della guerra sul caro-bollette, dovrebbero combattere per fare rispettare i patti in ucraina?

Ma gli italiani, nei salotti, nei talk show discutono di questo famoso boccone amaro da ingoiare, questo dolore da accettare. Senza logica, senza pudore.

E ancora si dice: “E comunque bisogna pur negoziare, si deve pur parlare”. Ma, da queste parti e non solo, mi sembra che non facciamo altro. Da queste parti almeno. Non lì dalle parti delle terre nere. Di nome e di fatto”.

Fratelli in armi, non so come guardarvi negli occhi: mi viene un nodo alla gola. Ma chi ingoia cosa? Non posso immaginare il dolore che vi chiedono di accettare? Piango con voi, piango per me.

Sono per la pace. Sono per la vita. Ma lo sono anche quei coraggiosi iraniani che sfidano i torturatori iraniani, lo sono tutte le vittime che in condizioni di inferiorità hanno tenuto la testa alta. Solo loro, i protagonisti, possono dire basta, possono smettere di chiedere aiuto. Si strumentalizzano i popoli per interessi di guerra di altri, ma si strumentalizzano anche per interessi di pace voluti altrove.

Ecco allora un’altra parola magica: la pace giusta. Giusta per chi? Chi decide cosa è giusto? Chi ha diritto di imporre una pace giusta e su quali legittime ragioni?

C’erano confini internazionalmente riconosciuti che sono stati violati, quindi?

C’erano confini internazionalmente riconosciuti che sono stati violati, quindi, nessuna concessione è giusta dal punto di vista del diritto internazionale.

Ci sono centinaia di migliaia di persone che sono morti per la libertà di quella che ritenevano la loro terra e donne e bambini che a Mariupol, quando fu aperto un corridoio umanitario per una tregua concordata e c’erano due vie d’uscita, una per la Russia una verso ovest, andarono verso questa seconda, fino a quando i Russi se ne accorsero e bombardarono il corridoio.

No: una pace giusta e condivisa, da un punto di vista umano, non la vedo.

Giusta allora si intende quella pace che media interessi contrapposti, sulla base dei rapporti di forza. Giusta si intende quella che evita altre morti, inevitabili da una parte per ragioni della superiorità dell’altra. Ma allora significa che l’ago della bilancia dei trattati di pace è condizionato dalla forza, non da altre ragioni.

Ma allora, che si parli di pace concordata, non giusta, di tregua, piuttosto, che di resa più o meno imposta, non di pace giusta. Abbiamo paura di prenderci delle responsabilità di cui nel futuro qualcuno ci chiederà il conto? Soprattutto la nostra coscienza. E allora spargiamo parole al vento, con ambigui significati.

 

 

(4 marzo 2025)

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