di Giovanna Di Rosa #Lopinione twitter@bolognanewsgaia #Lavoro
Quell’azienda che produceva pha (bioplastica) da scarti agroalimentari, con applicazioni e brevetti innovativi, sia per la sostituzione della microplastica o di quella utilizzata nei prodotti durevoli, dal packaging agroalimentare, ai mobili, alle lampade e chi più ne ha più ne metta. Con laboratori, impianti pilota e un impianto a scala industriale che era stato avviato?
Vi ricordate i riconoscimenti, le partnership per lo sviluppo delle applicazioni nel mondo, con risultati commerciali che sono stati sovrastimati dagli annunci dell’azienda? Annunci abbondantemente puniti, prima dalla concorrenza e dagli speculatori, e poi effettivamente messi sotto indagine dalla magistratura?
È stata all’attenzione dei media tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di quest’anno soprattutto per gli impatti dolorosi dovuti alla chiusura dell’attività, indotta dalle indagini e dalle relative ipotesi di reato, quali quella di manipolazione del mercato. Impatti, in particolare per lavoratori, formati, motivati e particolarmente competenti e per i risparmiatori.
I media sono un’arma potente per attrarre l’attenzione, farsi notare, attirare il consenso. E il consenso è l’elemento fondamentale per tante, troppe questioni: perché una manifestazione abbia successo, per alimentare il giro economico della pubblicità, per essere candidati e poi eletti nelle competizioni elettorali, in feedback virtuosi o viziosi senza fine e senza limiti. Per averne un esempio degli effetti “psicologici”, basterebbe fare un giro nelle stanze attorno alla Camera dei deputati per incontrare uno stormo di “ex” alla caccia dei giornalisti che permettano loro di ritrovare un po’ di notorietà, linfa vitale per la sopravvivenza sociale. E quando qualcuno parla ogni tanto di attaccamento alla poltrona, immaginando che questo si manifesti nell’accumulo di denaro non si rende conto che la questione è molto più profonda.
Senza la visibilità e il correlato del ruolo sociale, è difficile sentirsi un “maschio alfa nelle relazioni sentimentali” e alle cene degli amici non ti fanno più le domande “tu che sei dentro – a questo a quello – dacci un tuo parere”. Anzi, si voltano dall’altra parte e tu non esisti più.
Sono meccanismi talmente noti e talmente rappresentati: da Quarto Potere di Orson Welles a tutte le tesi sociologiche e persino antropologiche espresse nei tempi moderni da rendere banali queste osservazioni. Eventualmente si può sperare che chi utilizza i media cerchi di mantenere una visibilità nel tempo basata su una buona reputazione e che utilizzi i media in modo saggio, corretto e con intenti nobili. Spero di essere tra quelli.
Ma torniamo a Bio on.
È stata attaccata dai media, per interessi di parte, con informazioni in parte manipolate e rielaborate a partire da alcuni elementi che probabilmente falsi non erano.
La crisi della Bio on è salita alla ribalta della cronaca, perché non era accettabile che soggetti con visibilità politica e non solo rientrassero nella seguente narrazione: “per colpa dei vertici aziendali, persone sono senza lavoro e sono disperante e nessun politico se ne preoccupa”. Oppure: “l’impegno sull’ambiente e lo sviluppo locale sono solo parole, quando c’è davvero da impegnarsi a nessuno importa più”.
Queste narrazioni non sono accettabili, in particolare in vista di competizioni elettorali. È vero le competizioni ritornano fin troppo frequentemente, ma, in particolare in Italia si vive di emergenza, e tutti recitiamo in coro il motto di Rossella O’hara in Via col vento: “Domani è un altro giorno”.
Di quell’impegno va detto che risultati concreti per le categorie svantaggiate da quella storia ci sono state. Non è stata tutta fuffa, no di certo! Credo che vadano riconosciuti i meriti. L’impegno c’è stato ed è stato intenso. E nessun singolo dirigente o politico poteva raggiungere l’obiettivo vero e finale da solo. Non è questo il punto.
Occorre, però, mantenere il cosiddetto pensiero critico e misurare anche quello che non si è ottenuto.
Si sono trovati i finanziamenti per far sopravvivere con ammortizzatori e finanziamenti il personale rimasto e ancora attaccato a quel progetto di cambiamento del mondo a partire da loro e dal nostro territorio. Si è data adeguata pubblicità agli asset dell’impresa, combattendo le false informazioni sulle “scatole vuote”. Questo ha probabilmente contribuito ad attirare le manifestazioni di interesse di soggetti locali che potrebbero rilevare l’azienda e rilanciare.
E ora, cosa è rimasto? Le persone e le competenze particolarmente qualificate sono in attesa. Con quella sensazione di nausea che coglie i marines pronti allo sbarco, ma a cui nessuno dice niente di quando questo sbarco avverrà. Alcuni si fanno prendere dallo sconforto, altri se ne vanno, altri ancora resistono e confliggono tra loro. Sembra quasi un laboratorio sociale che se non fosse drammatico, sarebbe anche psicologicamente interessante.
I concorrenti probabilmente stanno cercando di ridurre la distanza e ridurre quindi il vantaggio competitivo di Bio on nella produzione del PHA, i potenziali compratori apprezzano molto di più il ribasso del valore determinato dall’acquisizione di asset tangibili, in un’asta competitiva e meno della perdita di valore di asset intangibili (competenze, motivazione, vantaggi competitivi) e tanto meno di contribuire a relazioni industriali virtuose e mirate allo sviluppo di un territorio.
Anche queste sono considerazioni ovvie per chi sta nel mercato.
E si potrebbe dire che nessuno può fare nulla di diverso: non solo sono le logiche del mercato, ma anche le leggi, in questo caso di diritto fallimentare. Sono cause di sistema, impersonali, ma non per questo meno vere, anche se talvolta sono prese a giustificazione del fatto che non si può fare di più
Con qualche eccezione: il giudice. Ecco a lui, ma, a dire il vero, alle procedure legislative che orientano il suo comportamento, viene attribuito la fonte di tutti i ritardi. Il Giudice, dicono a volte senza conoscere le cose: non sblocca, oppure il giudice non concede. Al massimo lo si giustifica: il giudice fa il suo mestiere.
I curatori e gli amministratori pure. Possono essere parte dell’azienda, essere considerati dalla parte dei lavoratori, come all’inizio dell’incarico tutti loro affermano? Forse, ma ognuno ha il suo ruolo.
Ma come si declina questo essere dalla parte dei lavoratori? Possono fare promesse? No di certo. E quando ne scappa una, di promessa, poi difficilmente si riesce a mantenere.
Possono parlare con i lavoratori, possono vivere le loro inquietudini, possono stare al fronte con loro? No, non è il loro ruolo.
Potrebbero però concentrarsi per fare più in fretta possibile, potrebbero ogni mattina, insistere con il mitico Giudice? Non lo so, forse no. Ma un curatore o un amministratore distribuisce il proprio tempo e il proprio impegno in relazione al livello di importanza e al numero di casi che ha sottomano. Sono umani anche loro.
Non solo. Perché c’è anche la questione della tutela dei risparmiatori. E questo comporta tempi, cautele, comportamenti che incidono sulle scelte delle azioni da fare e sulle relative priorità. E anche qui, però, potremmo dire un: “così è se vi pare”.
Tutto vero. Tutto comprensibile. Persino ovvio e banale per chi conosce il mestiere.
Insomma, abbiamo tutti: “…visto cose che voi umani non potete neppure immaginare”. Anche se, a dire il vero molti potrebbero rispondere “… e io francamente me ne infischio”.
Va bene, allora continuiamo a dirci, insieme a Rossella: “domani è un altro giorno”. Tanto, ahimè, le stelle stanno a guardare.
(14 febbraio 2020)
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