La sindrome del terzo mandato parrebbe avere contagiato il PD. Ennesimo contagio, direte voi. Ma la sensazione è più quella di avere a che fare con l’ennesima presa di posizione, nemmeno troppo chiara, per mettersi di traverso a Meloni che di una decisione vera e propria.
Elly Schlein di tutte le indecisioni parrebbe infatti avere virato verso il sì al terzo mandato un po’ per accontentare i sindaci dem e un po’ perché il suo sì indebolirebbe Meloni nella sua lotta con Salvini sull’argomento. Ma Meloni non ha detto “no” al terzo mandato in generale, ha detto “No” al terzo mandato di Zaia (che sarebbe poi il quarto) perché il Veneto lo vuole lei. Perché chi si accontenta gode.
Poi c’è la questione Bonaccini, che è sempre meglio tenere occupato perché il presidente dell’Emilia-Romagna è uno che la politica la sa fare sul serio e più è impegnato e meglio è. Per dirla con un sorriso. Dunque il Nazareno starebbe studiando, secondo gole profonde del luogo, come approcciarsi all’emendamento presentato dalla Lega che vorrebbe il terzo mandato per i sindaci delle città con più di 15mila abitanti e per i presidenti delle Regioni. Insomma l’instaurazione di un potere eterno che non ha nulla a che vedere con la stabilità di Regioni e Comuni, ma molto ha invece a che fare con un Salvini che vuole tenere Zaia il più lontano possibile.
Luca Zaia è una delle più poderose macchine da voti della storia recente d’Italia, gode di un consenso senza precedenti in Veneto – è stato eletto con una percentuale di preferenze personali che Salvini nemmeno si sogna, ha il brutto difetto di essere capace, molto più capace del suo segretario-Zelig, ed è persino capace di stare zitto. Altro che terzo mandato per garantire stabilità. Il terzo mandato serve a consolidare poteri personali (come dimostra l’appoggio di Toti presidente della Liguria, che gode di una stabilità politica indiscutibile in Regione e nel capoluogo) e a tenere lontani i rompicoglioni che possono insidiare segreterie. Dunque il terzo mandato crea certamente più stabilità: ma per le segreterie dei partiti. Meloni, il cui partito è a guida famigliare, può permettersi di dire no senza rischi.
Toccherà trovare un’altra maniera di farle lo sgambetto.
(18 febbraio 2024)
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