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Ricorrerà in appello l’avvocato della famiglia Iaquinta dopo i due anni a Vincenzo Iaquinta, ex volto della Nazionale di calcio e della Juventus, e i 19 anni al padre dell’ex calciatore, che hanno cominciato a gridare mentre il collegio dei giudici stava ancora procedendo con la lettura della sentenza Aemilia: 118 condanne su 148 imputati e la conclamazione dell’esistenza di una ‘ndrina. Per l’ex juventino, caduta l’aggravamte mafiosa, erano stati chiesti sei anni per reati di armi.
Gli Iaquinta (nella foto del Il Resto del Carlino l’ex calciatore Vincenzo) hanno dichiarato di non sapere nemmeno “cosa sia” la ‘ndrangheta “nella nostra famiglia”. Ci penserà il ricorso in appello a chiarire come stanno le cose.
Sono andate così le cose il 31 ottobre scorso a Reggio Emilia dopo la sentenza e le condanne del processo “Aemilia” che ha visto 118 condanne per un totale di 1200 anni di carcere. Soddisfazione da parte dell’Assessore alla Legalità Massimo Mezzetti che ha commentato: “Se in passato ci sono state sottovalutazioni o superficialità di analisi rispetto alla penetrazione delle mafie nel nostro territorio, adesso in Emilia-Romagna nessuno si volta più dall’altra parte, negandone il pericolo. Chi lo dovesse fare si renderebbe complice di una realtà che non è più negabile. Questo lo si deve anche al grande impegno che la Regione ha profuso in questi anni fino al sostegno concreto allo svolgimento dei processi sul nostro territorio, alla nostra costituzione come parte civile e con la testimonianza, altrettanto importante, di una comunità regionale che si è schierata senza se e senza ma con gli inquirenti, la Magistratura e gli agenti delle forze dell’ordine impegnati nella battaglia per la legalità, a cui va il grazie di tutti noi. Un fronte unito che va dalle istituzioni ai cittadini che oggi, con la sentenza di primo grado, qui in Emilia-Romagna ha dimostrato tutta la sua grande forza, per un impegno che prosegue in nome dei valori, dei diritti e del civismo che contraddistinguono la nostra comunità. Un plauso particolare va al Presidente del Tribunale e ai Pm , per la mole di lavoro svolto e per i tempi relativamente rapidi con cui si è arrivati a questa sentenza di primo grado”.
Il processo si è svolto a Reggio Emilia anche grazie allo stanziamento di 450mila euro da parte della Giunta regionale, che si sono sommati ad altri 748 mila euro precedentemente stanziati per sostenere la prima fase del dibattimento a Bologna. La Regione Emilia -Romagna, che si è costituita parte civile in coerenza con l’impegno messo in campo per combattere la criminalità organizzata, durante il dibattimento del processo, ha articolato la propria deposizione su tre filoni: l’impegno, appunto, contro la criminalità organizzata, il danno subito, civile e patrimoniale, e le attività di prevenzione all’infiltrazione delle mafie nell’ambito della ricostruzione successiva al sisma del 2012.
In collaborazione con l’Università di Bologna, la Regione ha finanziato, unica in Italia, una dettagliata mappatura on-line dei beni immobili confiscati alle mafie. Un impegno riconosciuto anche a livello internazionale, per esempio dallo United Nations Office on Drugs and Crime, che include l’esperienza della Regione Emilia-Romagna come una delle buone pratiche promosse dalle Nazioni unite. Inoltre, l’impegno si è concretizzato nel finanziamento di numerosi progetti prima attraverso la legge regionale n. 3 del 2011, dedicata al contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata e al sostegno e promozione della lotta alle mafie e della cultura della legalità, progetti per il recupero di beni confiscati, percorsi formativi nelle scuole, interventi a favore delle vittime e poi del Testo Unico sulla legalità del 2016: dal 2011 al 2018 210 quelli finanziati con un contributo di oltre 4.3 milioni di euro per interventi capillari prevalentemente rivolti a giovani e studenti.
In relazione ai fenomeni di infiltrazione mafiosa che in vari settori delle attività economico-istituzionali si sono manifestati nel corso del tempo in Emilia-Romagna, la Regione ha dunque predisposto norme di contrasto culminate nel Testo unico per la promozione della legalità e per la valorizzazione della cittadinanza e dell’economia responsabili, la legge regionale numero 18 del 28 ottobre 2016.
Importante anche il “Protocollo d’Intesa sulla gestione dei beni sequestrati e confiscati” alla criminalità organizzata ed economica, siglato nel 2017, su proposta del presidente del Tribunale di Bologna, Francesco Caruso, dalla Regione Emilia-Romagna e dai diversi attori sociali e istituzionali del territorio emiliano romagnolo. Fra gli obiettivi, quello di rimettere in circolo il più rapidamente i beni sequestrati alla criminalità e, soprattutto, modalità più ampie di gestione di quelle aziende che vengono sequestrate e poi confiscate, in modo tale da salvaguardare il lavoro e i lavoratori. Si tratta di strumento di soft law (produzione di norme prive di efficacia vincolante diretta) che mira a consentire una rapida, seppur temporanea, assegnazione dei beni immobili e dall’altro, sul versante aziendale, a realizzare progetti industriali in grado di assicurare la continuità dell’attività delle imprese e la tutela dei livelli occupazionali.
A oggi il totale dei beni immobili confiscati in Emilia-Romagna risultano 119: di questi 77 sono ancora in gestione dall’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alle criminalità organizzata e solo 26 sono già destinati: su 16 di questi sono in corso progetti di riutilizzo per fini sociali su cui la Regione interviene direttamente. Dal 2011 ad oggi sono stati sottoscritti dalla Regione Emilia-Romagna 25 Accordi di Programma su 15 beni immobili confiscati cofinanziati con un contributo regionale di oltre 1.5 milioni di euro.
E ancora: un Protocollo sottoscritto nella primavera di quest’anno tra la Regione e le Prefetture emiliano-romagnole punta rafforzare l’azione di prevenzione e contrasto delle infiltrazioni criminali e mafiose in Emilia- Romagna. L’accordo migliora lo scambio di informazioni e dati, aumenta i controlli rispetto ad appalti e concessioni di lavori pubblici, servizi e forniture, estendendoli all’attività urbanistica e all’edilizia privata, dove si punterò anche al rispetto della sicurezza nei cantieri e alla tutela del lavoro.
Capitolo importante è quello della prevenzione delle infiltrazioni mafiose nella ricostruzione post sisma. L’amministrazione regionale tra le altre misure ha applicato il protocollo sulla legalità sottoscritto con il Governo e le Prefetture, già in vigore all’epoca del terremoto; istituito l’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori lavori (White list) individuando le attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa; realizzato l’anagrafe degli esecutori regionale; esteso le categorie di lavori a maggiore esposizione; sottoposto tutti i lavori pubblici alle Linee guida per il monitoraggio finanziario delle grandi opere (Ccasgo); fornito alle Prefetture e al Gruppo interforze ricostruzione Emilia-Romagna (Girer) sia l’elenco dettagliato di tutte le aree che sono state acquisite per la realizzazione delle strutture temporanee sia l’elenco delle imprese affidatarie per poter esercitare controlli in corso d’opera.
(1 novembre 2018)
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