di Giancarlo Grassi #Modena twitter@gaiaitaliacomlo #immigrazione
E’ di gran moda nelle città italiane costrette loro malgrado ad ospitare i richiedenti asilo perché i richiedenti asilo vanno ospitati. Di tutto ciò che ruota attorno alla vicenda di povera gente che deve fuggire dai paesi d’origine per evitare di morire ammazzata non vorremmo parlare in questa sede, e ci sono i razzisti-fascisti che ne sanno più di tutti, ci soffermeremo sul colonialismo travestito da buonismo e da accoglienza da cui siamo affetti e dell’uso che ne fa la politica [sic] dell’accoglienza a fini di consenso attraverso la veicolazione del messaggio: “Vedi? Il negro è buono… Lavora per noi per ripagarci della bontà che abbiamo di ospitarlo”. Negro che lavora non morde.
Capofila della culturalmente imbarazzante masnada buonista che esibisce africani al lavoro nei parchi, come volontari che fanno attraversare la strada ai bambini (no, non li mangiano… Quelli erano i comunisti), come servi che tolgono la sporcizia dai pavimenti o dal suolo dopo le feste nei parchi o le scorribande dei pensionati alla soglia dell’ictus, c’è naturalmente Modena. Che quanto a vendere se stessa non conosce né rivali né vergogna.
Un recente comunicato stampa, pubblicato qui, ci informava dell’opera meritoria di un gruppo di richiedenti asilo nella cittadina emiliana che più grassa non si può, dove gli sfondoni della lingua italiana sono conditi con l’olio dell’indifferenza mascherata da buonismo ed accoglienza, che – anche se africani, sembrava sottintendere la notizia della quale non cambiammo una virgola – si sono dati da fare nella rimozione dei rifiuti generati dalla manifestazione “In bici con la 4”. Il comunicato parlava in realtà di persone che hanno “contribuito al buon esito” della manifestazione in questione, poi le foto mostravano giovani neri che raccoglievano cartacce quasi a tranquillizzare la cittadinanza sempre più leghista della cittadina dove il nulla riesce ad essere venduto come virtù: “Sono rifugiati, ma si danno da fare per noi. Non dovete preoccuparvi”. A loro giungevano anche i complimenti dell’Assessora. Perché l’assessore buonista va di complimenti. Mica storie.
Scriveva la nostra Mila Mercadante in un suo intelligente articolo, riferendosi alle donne algerine durante la colonizzazione francese, che “non furono i colonizzatori ad emanciparle, fu proprio la lotta in sé: attraverso l’azione esse conobbero una libertà mai provata prima, capirono di potercela fare, di valere, di contare a prescindere dall’identità di genere”; perché è proprio così. Nonostante le nostre pretese di fare azioni che liberino le persone non siamo mai noi a liberarle perché la nostra natura colonialista ci impedisce di vedere la libertà altrui diversamente da un attentato alla nostra. Non si spiegherebbe altrimenti la decisione di chiudere questa gente in centri per rifugiati – rifugiati le cui vicende racconteremo presto in una manifestazione culturale della quale sentirete parlare – chiudendo le porte per riaprirle, ed offrire i loro corpi agli sguardi vogliosi degli indigeni, quando c’è da pulire una strada o fare bella figura (noi!, non loro!) mostrando “il negro buono che pulisce le strade” con tante di foto.
Sono diverse le città che hanno scelto questa strada. Loro la chiamano integrazione. Noi lo chiamiamo razzismo colonialista travestito da buonismo. E quindi, fascismo. Poi ognuno rimarrà della sua opinione e con ogni probabilità, considerando con che testa il popolino ragioni, sarà più semplice che vengano considerati buoni se obbediscono ai nostri ordini e li fotografiamo mentre fanno “i bravi”, piuttosto che quando recriminano i loro giusti diritti di esseri umani nati in un mondo che il colonialismo, il nostro, ha depredato.
(10 aprile 2018)
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