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Burocrazia, Informazione e potere

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di Vanni Sgaravatti

È quello che attraversa un ampio spettro di sensazioni: da quelle intense, come la dimenticanza di una diagnosi scritta che provocò la mancanza di un’adeguata assistenza e la morte di mio padre, o come quello del ragazzo tunisino, senza una gamba per un’incidente, che non può avere i contributi per una protesi, se non collima la durata del permesso di soggiorno con i requisiti previdenziali richiesti da Inps; a quel dolore burocratico diffuso che fa sentire le persone straniere in casa propria, fino a quello che rende la vita così difficile a tutti noi, e che ci fa sentire dei numeri e dei robot.

Il dolore burocratico

La burocrazia, causa di quel dolore, si poggia sull’utilizzo di strumenti di classificazione (bureau/cassetti) e, quindi, nessuna persona si salva dalla burocrazia: al di fuori dalla singola relazione duale, si viene regolati e qualche volta ingoiati, nel momento in cui si diventa collettivo, organizzazione, sistema.

Storia della burocrazia

La burocrazia, che ha permesso la coesione tra collettivi i cui membri non si conoscono direttamente, ha cominciato a basarsi sulla scrittura al tempo dell’antica città di Ur, dove nelle tavolette di pietra venivano registrati elenchi di contabilità: quanti animali sono stati consegnati. Le tavolette che rappresentano impegni, crediti o debiti, non solo fornivano una rappresentazione della realtà, ma ne crearono un’altra, intersoggettiva. Tant’è vero che, fin dagli antichi Assiri, la distruzione di una tavoletta, segno di un debito comportava l’eliminazione del debito stesso. La realtà (quella del debito) era diventata la tavoletta.

È evidente che, in questo senso, la burocrazia, adottando strumenti per dispiegare la propria potenza, è ontologicamente estranea alla vita biologica. Questa tendenza è aumentata in modo esponenziale fino alla modernità, in cui sembra si sia perso l’equilibrio tra natura e cultura e dove la burocrazia utilizza sistemi informativi sempre più potenti che aumentano il senso di alienazione, estraneità e separazione tra la cognizione concreta del corpo e l’astrazione delle regole.

Dopo la registrazione scritta delle informazioni, nacque l’esigenza della rintracciabilità delle informazioni, depositate in migliaia di tavolette. Il nostro cervello da milioni di anni si è evoluto per recuperare un’informazione, in un secondo, dalla memoria, ma, nel momento in cui si utilizzano registrazioni di informazioni non organiche, l’uomo deve creare un sistema di rintracciabilità altrettanto artificiale.

Con l’andare del tempo, l’umanità sviluppa, quindi, sistemi di diffusione di regole da seguire e standard di classificazione necessarie alla loro applicazione: dai libri sacri, al testo “Malleus maleficarum” di Kramer, con i requisiti di identificazione delle streghe da bruciare, alle regole che confermavano l’infallibilità del partito comunista sovietico nella caccia ai Kulaki, i colpevoli di tutti gli errori, visto che, questi non potevano certo essere commessi dall’infallibile teoria marxista; ed, infine, agli algoritmi che regoleranno il mondo che verrà.

Ai tempi moderni, la burocrazia trova negli algoritmi due fattori di inquietante sviluppo: la definizione di profili ad hoc, costruiti sulla base di migliaia di variabili comportamentali, che si prestano ad essere una fonte di costruzioni di identità, falsamente riconosciute come “vere” e la velocità incontrollabile di diffusione delle stesse.

Sembra di rinvenire, in un percorso storico, una parabola: dai cacciatori raccoglitori che si adattano all’ambiente, l’homo sapiens che si evolve e modifica l’ambiente a cui si deve adattare, ma che lo modifica a tal punto da crearne uno meno adatto al biologico e più all’artificiale, più al silicio che al carbonio. Un ambiente che comporta per l’uomo, che deve adattarsi, la perdita della propria identità antropologica e, quindi, la perdita della capacità a ritrasformarlo, in coerenza con quella da cui il sapiens è nato.

Burocrazia e narrazioni

Le categorie e classificazioni su cui si basa la burocrazia, per loro stessa natura, producono bias, cioè distorsioni (rispetto all’irraggiungibile “vero”), sono gli stessi bias degli algoritmi del mondo contemporaneo, quelli che nascosti e pervasivi, aumentano sempre di più il nostro senso di alienazione.

Ma la burocrazia è preesistita e sembra ineliminabile, ma quello che costituisce una inquietante distorsione è il modo in cui la si vive: una realtà autonoma che sovrasta e regola le relazioni, invece di essere uno strumento da utilizzare e piegare insieme all’altro e non uno contrapposto all’altro.

La burocrazia non basta, però, per comprendere la realtà. Il ruolo ed il senso della burocrazia sono regolati dalle narrazioni condivise, favorendo lo sviluppo di miti da seguire, che dovrebbero emergere dall’umano in concordanza con i principi etici umani, senza che le interpretazioni derivanti da classificazioni e realtà burocratiche assumano vita propria, imponendosi ai molti, manipolati dai pochi.

Burocrazia e politica

Sono narrazioni che devono essere continuamente riviste, ma che possono esserlo solo in un sistema democratico, che dovrebbe indurre una possibilità di potenziale e continua riforma della stessa burocrazia. In questo senso, la democrazia, con i suoi meccanismi di autocorrezione è il miglior modo per controllare l’abnorme dilagare della burocrazia.

Se l’accumulazione e la coesione tra individui, che non si conoscono direttamente, richiedono sistemi informativi e narrazioni per interpretare i risultati delle relative elaborazioni, la tecnologia con cui tali sistemi opera incide sulla gestione del potere, determinando la forma di governance.

Il conseguente “dolore burocratico” non è allora solo una misura della scarsa qualità della vita di chi sta nelle comfort zone, ma assume la spia dell’urgenza di un cambiamento rivoluzionario, quando diventa insopportabile strumento di manipolazione e di creazione di disuguaglianze.

I meccanismi autocorrettivi alla base della democrazia mirano alla costruzione di barriere alla concentrazione di potere, senza le quali si tende a percorrere una direzione totalitaria, con successivo rischio di “infarto”, per le strozzature del sistema informativo (allontanamento dal vero). Un rischio, alternativo a quello della democrazia, che, quando in declino, perde credibilità e affidabilità collettiva dei meccanismi autocorrettivi, con conseguente frammentazione del sistema, (allontanamento dall’ordine).

Burocrazia e algoritmi

Per prevedere il futuro della burocrazia in presenza di sistemi informativi moderni, occorre ripercorrere il senso di uno dei primi testi di riferimento, depositario, di regole auree da seguire. E’ uno dei libri sacri, “infallibile” per antonomasia, la Bibbia, indipendentemente dal fatto che sia stato ispirato da un dio, per i credenti, o sia un testo base storico antropologico, per gli atei, che è stato composto da persone, con la funzione di redattori, ma non di scrittori. Redattori che hanno suggerito gli scritti da comprendere, che, oggi, si potrebbero chiamare gli influencer.

Gli algoritmi si collocano in questa funzione, e, quindi, non sostituiscono i singoli umani scrittori, ma i “redattori”, cioè coloro i quali influenzano e suggeriscono le informazioni a cui porre attenzione. È questa la funzione dei circuiti di silicio, artificiali, riuscendo così a sostituire gli umani nel prendere decisioni o nel valutare la realtà, come altre tecnologie in precedenza non avevano mai fatto.

Uno tra i tanti esempi particolarmente esemplificativo è quello riportato da Harari nel suo ultimo libro, “Nexus”: i Rohingya musulmani e birmani sono stati oggetto di persecuzioni e violenze inenarrabili, in risposta alle azioni di un piccolo gruppo terroristico appartenente alla loro etnia. Facebook contribuì alla diffusione dell’odio da parte del 90% della popolazione di Myanmar, buddista, mettendo sempre in primo piano ed enfatizzando il linguaggio che stigmatizzavano i “mostri” Rohingya, che avrebbero voluto, secondo quelle fakes news, prendere il posto dei Buddhisti.

Tutti sanno che gli algoritmi di Facebook non odiano i Rohingya e neppure i dirigenti e progettisti dell’azienda. Hanno semplicemente costruito un algoritmo che scegliesse da solo il modo di aumentare il tempo di permanenza in rete degli abbonati, scoprendo che era l’odio e la paura i fattori attrattivi. Tutto questo, ovviamente al fine di aumentare il valore in borsa dell’azienda, che dà lavoro e stipendi e non solo distribuisce dividendi, grazie alla maggiore efficacia pubblicitaria dei propri canali. Sempre e solo l’audience, la visibilità, i like, gli applausi.

Burocrazia e istinto

Il pensiero unico che pervade le nostre società è quello che, sulla base dei principi del mondo artificiale e dell’ottimizzazione dell’adattamento ad esso, non vede più strade alternative, se non attraverso un mutamento antropologico non certo alla portata dei singoli. Come un timoniere, che muove in qua ed in là il timone di una barca (la razionalità), con l’illusione di manovrarla (la barca della burocrazia e delle regole del sistema), ma che, in realtà, è trasportata dalle forti correnti istintuali. Saremmo così trascinati, senza avere la capacità di navigare, senza quella relazione armonica tra flusso e direzione voluta, che ci permetterebbe di capire dove stiamo andando.

Per ritrovare questa armonia tra razionalità e istinto occorrerebbe educare alla cura delle relazioni, come fonte di apprendimento profondo della realtà condivisa, ma questo prevede educare alla fraternità: è molto difficile in un mondo di figli unici.

In conclusione, personalmente, mi sono ritrovato, verso il tramonto della mia vita professionale, immergendomi nella assistenza sociale e sanitaria, nella selva oscura di una burocrazia che dilaga persino dentro le istituzioni religiose, nei luoghi dove persone classificate come volontarie assistenti donano qualcosa a persone classificate come bisognose.

Tali istituzioni, diventando organizzazioni sociali che danno corpo alla carità, non possono esimersi da utilizzare gli strumenti (della burocrazia). Niente di male, se non fosse che gli strumenti della burocrazia sono poi in mano a uomini che identificano i soggetti, quelli non conosciuti in un confessionale, come entità astratte. Strumenti, quindi, che anche in quei luoghi possono prestarsi a manipolazioni. Un rischio inevitabile, se il tempo dell’efficienza gestionale, dei manager e di quelle regole che ti mettono al riparo da accuse di favoritismi, non permette di trovare il tempo per una riflessione umanamente condivisa.

Anche le narrazioni nel campo dell’assistenza sociosanitaria che interpretano le classificazioni burocratiche di soggetti e progetti, possono servire ad inquadrare l’altro, trasformandolo da portatore di un bisogno, a persona tutta dedita al cambiamento del mondo e quindi generosa, a privato con interessi personali, che nasconde qualcosa, magari velleitario e fastidioso concorrente. E questo succede anche per gli assisti, in particolar modo, se i comportamenti reali non collimano con la definizione burocratica: l’assistito è un povero o un portatore di bisogno, uno che abbassa lo sguardo, si vergogna e non mostra certo la propria autorevolezza e determinazione altrimenti quale povero bisognoso è.

Non credo che dietro la burocrazia e la manipolazione dei risultati dell’agire burocratico ci siano complotti che qualcuno pianifica consapevolmente, ma credo che siamo tutti coinvolti, detrattori e detratti, in quelle correnti sospinte più da meccanismi autonomi, burocratici, appunto, che non comprendono la responsabilità etica umana individuale per il proprio funzionamento, ma piuttosto attirano gli umani per la falsa promessa di certezza e prevedibilità, offerta dalla tecnica burocratica, che induce alla costruzione di realtà artificiali intersoggettive.

 

 

(6 ottobre 2024)

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