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Le prime risoluzioni del Parlamento europeo sul linguaggio non discriminatorio in funzione del genere risalgono al 2003; sono state recepite in Italia nel 2007 e, nel 2014, la Regione Emilia Romagna ha promulgato la legge che chiede di adottare un linguaggio non discriminante attraverso l’identificazione del soggetto sia femminile che maschile. Ma in Italia, già trent’anni fa Alma Sabatini aveva pubblicato, sotto l’egida della Presidenza del Consiglio dei ministri, le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana.
“La decisione del Comune di Modena sull’applicazione del linguaggio di genere negli atti amministrativi discende quindi dall’applicazione di leggi ben precise e non è stata presa sull’onda di un’ipotetica moda del momento”. Lo ha precisato l’assessora alle Pari opportunità Irene Guadagnini rispondendo in Consiglio comunale, giovedì 29 novembre, all’interrogazione proposta dal capogruppo di Forza Italia Andrea Galli che, dopo aver definito l’adozione delle linee guida sull’utilizzo del linguaggio di genere “conseguente a certo linguaggio politico di ‘boldrinesca’ memoria”, ha chiesto “se si intenda ancora perpetrare questa moda del linguaggio di genere, fortemente offensiva per il genere femminile dato che lo rende simile a una specie protetta e quasi inferiore” e quali sono i costi sostenuti dall’Amministrazione per adeguare il sito e gli atti amministrativi al linguaggio di genere e per la formazione dei dipendenti a questo scopo.
Nella risposta, l’assessora Guadagnini ha specificato che i costi del progetto, che risale al 2015, ammontano a 5.425 euro lordi, comprendenti la compilazione, la stesura e la pubblicazione delle “Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo” da parte della professoressa Cecilia Robustelli, che ha anche curato il corso di formazione per i dipendenti e la lectio magistralis conclusiva. “Il progetto – ha sottolineato l’assessora – non ha altri costi, in quanto l’adeguamento degli atti e della comunicazione è svolto da personale interno”.
Proseguendo, l’assessora Guadagnini, ha ribadito che la grammatica italiana dispone di due generi: maschile e femminile. “Sostantivi e aggettivi se riferiti a una donna seguono il genere femminile, se riferiti a un uomo quello maschile. Tutto qui”. Riportando interventi della professoressa Robustelli ma anche dell’Accademia della Crusca, Guadagnini ha quindi evidenziato che “nessuno ha dubbi sull’utilizzo del genere maschile quando ci si riferisce a un uomo. I dubbi ci sono solo sui termini riferiti alle donne, soprattutto se ricoprono ruoli istituzionali. Ma è solo una mancanza di abitudine perché non ci sono divieti o obblighi linguistici e grammaticali che ci impediscono di usarli. La declinazione al femminile innovativa di molte professioni, quindi, non solo è corretta linguisticamente ma rappresenta un significativo mutamento del linguaggio che si adegua al cambiamento della società e ai ruoli ricoperti da ciascuno. Un uso più consapevole della lingua italiana – ha detto ancora l’assessora – contribuisce a un’adeguata rappresentazione pubblica del ruolo della donna nella società, a una sua effettiva presenza nella cittadinanza. In sostanza, declinare le parole al femminile quando si parla di donne significa renderle visibili, riconoscendo loro un ruolo che per troppo tempo è stato ingiustamente negato. Le donne sono appena arrivate a ricoprire determinati ruoli, quindi è normale che ci sia ancora incertezza nell’uso di certi termini ma i termini femminili si moltiplicano e aumentano molto anche coloro che li usano”.
Dopo aver chiesto la trasformazione in interpellanza, Caterina Liotti, Pd, ha ricordato che il percorso verso l’adozione del linguaggio di genere è partito da una decisione del Consiglio comunale. “Per noi utilizzare la declinazione al femminile negli atti della Pubblica amministrazione è importante per evidenziare le competenze delle donne e che le cariche istituzionali possono essere ricoperte da donne. È importante anche per scalfire la cultura maschilista e sessista, senza forzare la lingua italiana ma solo applicandone le regole”.
Nella replica, il consigliere Galli ha affermato che “sono aiuti concreti come gli asili che aiutano le donne a essere pari agli uomini, come effettivamente sono. La storpiatura dell’italiano, imposta e non sentita, non dà i risultati sperati”.
(4 dicembre 2018)
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