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La cultura de la “viletta col canczello di ferro sbatuto” che imperversa in certe amministrazioni emiliane

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di Giovanna Di Rosa #Amministrazioni twitter@gaiaitaliacomlo #Libri

 

 

Il mio collega Giancarlo Grassi ha scritto, in un altro articolo pubblicato su questo giornale, che non c’è non c’è nulla di peggio di un assessore alla cultura di sinistra ignorante e bifolco che pretende di dettare l’agenda al direttore artistico.

Ho partecipato nelle ultime settimane ad alcune manifestazioni culturali in Emilia, dove si fanno un sacco di manifestazioni culturali. Di alcune si farebbe francamente, a meno, mentre altre sono piuttosto interessanti e possono vantare una certa unicità. Sono rimasta colpita, più che dalle manifestazioni in sé, dalla presenza massiccia di amministratori e di un certo popolo del PD che ha una sua specificità, mi sembra di poterlo affermare con certezza, soltanto in certe zone d’Italia e che scambia l’impegno politico con il protagonismo ed il protagonismo con la cultura senza saper infilare un verbo. Sono quelli che poi ridono dei congiuntivi di Di Maio.

Si tratta di un tipo di amministratori e di un tipo di popolino di una certa sinistra, o definita tale, del quale gli elettori non ne possono più. Per estensione ne deriva che sarà grazie a questo tipo di amministratori e di questo tipo di popolino di una certa sinistra, se quella certa sinistra, e non è una profezia, avrà vita durissima alle prossime amministrative del 2019 quando molti dei comuni dove il vanto è avere “la viletta con canczello di ferro sbatuto” e sbandierarlo in piazza, andranno al voto e dovranno confermare i loro rappresentanti.

Mi sono chiesta, nel mio girovagare ed assistere a discorsi sconclusionati da palchi posizionati di fronte a platee da duecento posti mezze piene (o mezze vuote, scegliete voi), con quale coraggio certe figure che farebbero  vergognare nello studio di un fabbro o nella cucina di una bettola, si presentino o si siano presentate alle elezioni. E come abbiano potuto essere elette.

Ignoranza, incultura, ego, maneggio da casalinga frustrata, piglio da cowboy e un parolare insensato e mirato soltanto a rassicurare sul proprio valore sono la caratteristica comune alle persone che ho incontrato e con cui ho parlato prima, durante o dopo le manifestazioni.

Tutte, indistintamente, mentre si beavano di chiamare per nome il famoso [sic] che stava al loro fianco, si lamentavano del becerume che è andato al potere a Roma. Perché lamentarsi del becerume fa tanto engagé. La lamentela, esibita pubblicamente ed impudicamente, doveva far parte del loro sentirsi qualcuno e di potere in qualche modo, e secondo modi che non sono maniere, decidere chi sia degno o meno di poter accedere ai loro uffici per poter discutere tra pari [sic] di questioni culturali od economiche.

Io, da parte mia, sono felice di potermi sbellicare dalle risate pensando che talune e taluni personaggi che ho incontrato pensano a loro stessi come politici. Il tempo li rimetterà al loro posto.

 

 




 

(21 giugno 2018)

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